La via della spiritualità è una via pratica. Si dispiega solo dopo lungo e metodico apprendimento, e si forma solo dopo un consistente e fattivo apprendistato. Come ben sapevano gli antichi Samurai, l’arte della guerra sottostà ai medesimi princìpi. E questi stessi princìpi sono operativi in ambito sportivo, validi per tutti e non solo attivi per le pratiche marziali. Vale lo stesso per il raggio d’azione dello spirito dal punto di vista della riflessione, che è quello che dai Greci abbiamo appreso, ereditato e utilizzato come metro di misura e di giudizio per orientarci nella conoscenza; tale metro è infatti a tutti noto con il nome di Teoria.

La riflessione sulla spiritualità (una “teoria della pratica”) ha una sua utilità. Utilità che può essere appresa, ed apprezzata, con profitto. Anche in ambito sportivo ne facciamo ampio uso, ma spesso senza saperlo. Contemplando un’opera d’arte che ci piace e ci colpisce per i suoi caratteri di originalità e bellezza siamo orientati a chiederci, da spettatori, da quale ispirazione l’abbia tratta il suo autore (pittore, regista, architetto, musicista che sia). È una domanda assurda, se ci pensiamo bene, tanto è vero che se lo domandassimo allo stesso autore egli non avrebbe modo di spiegarlo nei dettagli per poter risponderci. Se ci chiediamo, invece, non perché ma come essa sia stata fatta, e se ci orientiamo a una risposta pratica per la sua comprensione, allora il nostro studio acquista senso e siamo in grado di afferrare quel fascino che aveva toccato i nostri sensi e quell’origine risulta così alla fin fine meno eterea, enigmatica o nascosta. Lo stesso vale per la spiritualità quando ne parliamo, ne partecipiamo o la osserviamo all’opera. Addentriamoci allora, seppure partendo dal suo effetto a posteriori, nella bottega di quell’autore, in un laboratorio artistico coi suoi colori, i suoi sapori, la sua vita e la sua tradizione, o la sua storia. E su questo orientamento potremo misurare il nostro interrogativo e trarne risposta e beneficio.

Insomma: quando riflettiamo su ogni teoria l’idea della sua fonte è ininfluente. La ritroviamo solo nei suoi effetti e solo se partiamo dalla pratica. Allora sì che siamo veramente in grado di spiegarla. Per esemplificare l’utilità di questo uso dello spirito sia nella vita pratica che nell’attività sportiva vorrei servirmi dei colori.

La forma dei colori è l’oggetto di un libro scritto in epoca lontana, nel pieno del romanticismo europeo, da Wolfgang Goethe. Oltre che in qualità di scrittore e poeta, l’arte di Goethe si è esercitata nella pittura e nell’uso dei colori. Il frutto di queste riflessioni è stato raccolto dall’autore nel libro che esaminiamo.

La fenomenologia qui proposta da Goethe assume il punto di vista soggettivo e qualitativo dello sguardo come fondamento delle leggi generali ed oggettive dell’ottica. Il fenomeno cromatico, cioè, altro non è che effetto o specchio della luce che si riverbera nell’occhio. Così, se esaminati nei rispettivi ambiti di classificazione (fisiologico, fisico e chimico) i colori, per Goethe, assicurano una tassonomia significativa, che può essere utilizzata praticamente. Questa classificazione ha il pregio intuitivo di determinarsi in forma di continuità dialettica.

Nel primo caso, cioè dal punto di vista fisiologico, potremo osservare il ruolo attivo dell’uomo in questa classificazione, perché il criterio utilizzato è quello della polarità, che è un criterio di polarità soggettiva: vedo il cielo azzurro durante il giorno perché il bianco della luce ne attutisce l’impatto, e mano a mano che si fa buio, l’azzurro diverrà prima violetto e poi blu notte, fino a tendere al nero, che lo copre. I colori che si sovrappongono scandiscono il ritmo della giornata, e il mio sguardo, com’è naturale, ne sarà a sua volta influenzato.

Nel secondo caso, in senso fisico, infatti, bianco e nero, in questa dialettica dei contrari, si contrappongono in polarità dialettico-oppositiva. E qui dovremo valutare le coppie di colori, ad esempio verde e rosso, che sono agli antipodi, oppure l’opposizione di blu e giallo tra di loro e rispetto al verde.

Nel terzo caso, dovremo considerare l’aspetto chimico che organizza la classificazione dei colori, stavolta non secondo uno schema di polarità ma di rottura o di mediazione tra i colori: il loro composto infatti ha effetto in un senso o nell’altro, come rottura o come mediazione, proprio perché unendosi determinano effetti naturali, Perciò la combinazione del giallo con il blu, determinando il verde, crea effetti di fusione armonica che producono fiducia e sicurezza, così come il rosso, prodotto dell’unione di viola ed arancione indica un allarme o una evidenza di natura estrema e prioritaria.

Con questi criteri possiamo trarre alcune conclusioni interessanti.

Anzitutto, l’indicazione di un’utilità simbolica della scomposizione per coppie dei colori. Prendiamo il bianco e il nero; il primo di questi due colori ha una rappresentazione chiara ed evidente per l’importanza che esso riveste nelle nostre vite: essendo associato alla luce, e quindi alla sommità della scala dei valori, il bianco rappresenta un primato di ordine, innanzitutto sociale. Un esempio? Il colore delle divise più tradizionali, come per il caso di Wimbledon nel tennis, non solo indica purezza e pulizia di spirito, ma lega un tal primato alla tradizione. Non per niente è di pertinenza riservata agli inventori di tale disciplina sportiva e solo a loro, ancora oggi; né una tale tradizione può in alcun modo essere soppressa o intaccata. Allo stesso modo – fateci ancora caso – in ambito di competizioni internazionali, come il rugby, il calcio oppure il cricket, è la divisa di colore bianco che individua la nazione cui il primato nell’invenzione di questi stessi sport si riconduce. Il nero, per evidenziare invece un caso più legato alla moda – e secondo un esempio che proviene proprio dal libro esaminato – ha la funzione di rendere snello chi lo indossa; a parere di Goethe non si tratta, solo, di un contrasto ad “effetto ottico”, come lo chiama la scienza del suo tempo, ed in particolare Newton (di cui parleremo), bensì di quel contesto fisiologico di tipo naturale che egli assegna alla “forma” dello spirito. Le scienze cognitive, in particolare nel loro orientamento embodied, confermano anche a livello sperimentale una tale inclinazione naturale della nostra mente.

Dall’opposizione nello schema polare qui proposto ci viene un insegnamento che riguarda la nostra vita. Oggi, in piena pandemia, organizziamo la quotidianità secondo i dati raggruppati per regioni e per colori. Ora, se ci facciamo caso, i colori scelti sono più o meno quelli utilizzati nel criterio del semaforo: verde, giallo, rosso in quanto segnali di via libera, di attenzione o di fermo (l’arancione aggiunge prove ed acqua al mulino di Goethe ma, per altri motivi, qui non c’è spazio per parlarne).

A differenza del criterio del semaforo, verticale, rigido, per la nostra vita sociale noi abbiamo una possibilità che è offerta dalla ruota cromatica circolare che l’autore disegna. E una tale valorizzazione della disposizione a cerchio, con l’orizzontalità, le sfumature e le costanti di ordine dialettico che essa comporta, lega alla psicologia un’idea più olistica della mente e favorisce finalmente una rappresentazione meno schematica di noi stessi.

                                                              Massimiliano Pandimiglio